Ai lavoratori che contraggono matrimonio la normativa riconosce particolari diritti e tutele.
Agli stessi infatti, in occasione delle nozze, spetta un periodo di congedo con modalità di utilizzo e durata stabilite dalla contrattazione collettiva.
Per il congedo in questione, che puo essere fruito anche non in concomitanza delle nozze purché sempre in occasione di matrimonio, i principali contratti collettivi prevedeno in generale una durata di 15 giorni di calendario retribuiti dal datore di lavoro.
In alcuni settori e per determinarte categorie di lavoratori l'indennizzo è invece a carico dell'INPS.
La legge inoltre vieta il licenziamento, considerandolo come nullo, quello intimato nel periodo intercorrente tra la data di affissione delle pubblicazioni del matrimonio fino ad un anno dal suo compimento.
La misura in questione, tuttavia, è riconosciuta solo alle lavoratrici e non anche ai lavoratori di sesso maschile cosi come disposto dall'art. 35 del D. Lgs 198/2006, codice delle pari opportunità.
Tale norna, apparentemente paradossale e discriminatoria, trova la sua giustificazione in una tutela che viene concessa alle donne al fine di parificare i diritti a quelli degli uomini, in ambiti dove questi ultimi non necessitano di misure di salvaguardia.
L'intento lungimirante della norma è infatti volto a proteggere le lavoratrici dal recesso del contratto da parte del datore di lavoro, in vista di una possibile gravidanza ritenuta scomoda.
La questione, ampiamente dibattuta, trova fondamento nella sentenza della Corte di Cassazione n. 31824/2018 che, confermando il precedente orientamento della medesima Corte con sentenza n. 28926/2018 e ribaltando gli orientamenti contrari (Trib. Lavoro Milano del 3/6/2014, Trib. Vicenza 25/5/2016, Trib. Roma 16/01/2017), sancisce il diritto per le sole lavoratrici ed esclude i lavoratori uomini dalla possibilità di reintegra in caso di licenziamento intimato in occasione del matrimonio.
